No ticket per disabili gravi

Molte strutture continuano a richiedere il pagamento di ticket a fronte dell'erogazione di servizi terapeutici e socioriabilitativi a disabili con handicap permanente e grave, nonostante la sentenza del TAR Puglia dello scorso gennaio, che accoglieva il ricorso presentato da alcune famiglie contro le linee guida del Comune di Bari ispirate alla disciplina della Regione Puglia.  "Le famiglie con parenti diversamente abili gravi – e i diversamente abili gravi stessi" – racconta Francesca Delvecchio, Presidente dell'associazione "Nicholas" a tutela delle diverse abilità – "che frequentano i centri diurni socio-riabilitativi al fine dell’integrazione nel tessuto sociale nonché per gli indispensabili servizi sociali e terapeutico – riabilitativi che il Servizio Sanitario Nazionale eroga attraverso questi centri, ormai dal 2007 erano destinatarie delle continue e persistenti richieste inerenti il pagamento delle prestazioni pubbliche erogate dai centri, sia da parte degli operatori dei medesimi centri che da parte degli operatori sociali dei rispettivi comuni di residenza, i quali più volte minacciavano che sarebbe stata interrotta l’erogazione del servizio e/o non sarebbe stata più consentita al disabile la frequenza presso il centro, se il disabile stesso e tutta la sua famiglia, non avessero pagato la retta del centro, come diceva, a parere loro, la legge".
In effetti, una legge, e nello specifico la legge regionale n° 19 del 2006, che ha trovato attuazione con il regolamento regionale n°4 del 2007, all’art. 6 disciplinava i criteri di ripartizione della spesa sociale tra utenti ed ente pubblico, prevedendo che il costo delle prestazioni erogate dai centri diurni fosse sopportato quasi totalmente dal disabile, dalla sua famiglia, nonchè dai familiari non conviventi del disabile/utente, ma rientranti nel “nucleo familiare” ex art. 433 del codice civile.
In sostanza, secondo l’intendimento degli enti territoriali, il pagamento delle fondamentali e indispensabili prestazioni pubbliche doveva spettare quasi totalmente al disabile, attraverso il versamento integrale della sua pensione di invalidità e dell’assegno di accompagnamento (ove percepito). Queste somme, come è noto, sono così esigue da non consentire al disabile e al suo nucleo familiare di poter soddisfare neanche la metà delle spese che la sua patologia gli impone. Lo Stato, infatti, considera dette somme non fiscalmente rilevanti. La Regione Puglia, invece, non tenendo in alcun conto la normativa statale, aveva pensato di ricomprenderle nei “redditi del destinatario”, trattenendole, di fatto, in toto per il pagamento dei servizi socio-riabilitativi erogati dai centri diurni.
In tal modo l’ente regionale esimeva quasi totalmente se stesso e i comuni, che avrebbero poi dato attuazione locale alle disposizioni ragionali, dagli obblighi economici e sociali cui detti enti sono assoggettati non solo dalle leggi nazionali (in primis, dai fondamentali principi della Costituzione) ma anche dalle importanti convezioni internazionali stipulate in tali ambiti e ratificate dallo Stato italiano.
I giudici del Tar della Puglia, quindi, con la sentenza n. 169/2012, hanno annullato quella parte di regolamento regionale impugnato, statuendo testualmente che: “Deve ritenersi, quindi, che il citato art 3, comma 2 – ter [del decreto legislativo 109/98] (…) abbia introdotto un principio, immediatamente applicabile, costituito dalla evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali.
Ciò in coerenza con i principi posti dalla Convenzione di New York, tesa alla valorizzazione della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile, e con la finalità dichiarata dalla norma di introdurre misure per favorire, nei casi di disabilità più grave, la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza: (…)
A fronte di tali considerazioni, deve invece rilevarsi che gli atti impugnati non hanno tenuto conto di tale principio(…).
Ne consegue la fondatezza del primo motivo di ricorso, con assorbimento delle successive censure, e l’annullamento in parte qua degli atti impugnati.”
In sostanza, la legge regionale e la delibera del Comune di Bari, nel disciplinare i criteri di ripartizione della spesa sociale tra utenti ed ente pubblico, non solo non avevano considerato i casi più gravi di handicap permanente, ma, peggio, avevano “addossato” la contribuzione economica all’intero nucleo familiare del disabile, parenti non conviventi inclusi. In tal modo gli enti locali avevano quasi del tutto escluso se stessi dai loro obblighi economici non tenendo, di conseguenza, in alcuna considerazione né la normativa nazionale né le convenzioni internazionali che prevedono tassativamente “la evidenziazione della situazione economica del solo assistito” situazione economica all’interno della quale, sempre secondo la legislazione e la prassi Statale, non posso considerarsi fiscalmente rilevanti né le pensioni di invalidità, nè l’indennità di accompagnamento dell’Inps, ove percepite.
"E’ evidente l’assoluta rilevanza della pronuncia del Tribunale amministrativo pugliese" – sottolinea Francesca Delvecchio – "che, per la prima volta, si è espresso, in modo chiaro e definitivo, seguendo l’ormai consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia, ponendo quindi un freno a quell’atteggiamento posto in essere dagli enti locali che, di fatto, attraverso le leggi regionali e le delibere comunali non facevano altro che aggravare le già insostenibili condizioni di vita delle persone affette da handicap permanente grave e dei loro familiari".